6 pensieri su “5F per sabato 8 aprile

  1. Scelgo il caso n.1
    Innanzitutto non trovo giusto che Gianni venga narcotizzato per essere portato in clinica poiché, secondo me, ognuno deve avere il diritto di scegliere ciò che vuole fare; In secondo luogo, Gianni ha tutto il diritto di pretendere che lo scolleghino perché non ha ne potuto scegliere di aiutare Enrico ne non è obbligato a dover far rimanere in vita il suo compagno. Infine, a mio parere, non sarebbe un atto dovuto poiché nessuno obbliga a scegliere per qualcun’altro o a far qualcosa per lo stesso; al contrario la trovo una cosa che si potrebbe fare per aiutare gli altri, ma ciò non è un obbligo.

    L’autrice per sostenere la sua tesi paragona l’esempio di Gianni ed Enrico con l’esempio di una donna in gravidanza che vuole abortire. Tale paragone non mi convince molto poiché la donna ha un vero e proprio legame/rapporto con il feto che porta in grembo, mentre Gianni ed Enrico non hanno legami particolari da indurre l’uno a scegliere per l’altro. In questo caso non si può tirare in ballo la libertà di scegliere della donna, ma lei stessa è responsabile di suo figlio.

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  2. 1. Secondo me Gianni dovrebbe avere il diritto di poter scegliere se rimanere attaccato ad Enrico oppure no, anche perché questa sua condivisione di sangue limita la sua libertà di vivere la sua vita. Secondo me il paragone con l’interruzione di gravidanza non è molto efficace sotto l’aspetto della limitazione delle libertà che Gianni sperimenta, infatti Gianni non sa, quando Enrico riceverà un midollo osseo, e fino ad allora lui non può condurre una vita normale. La donna incinta invece è a conoscenza di quando potrà separarsi dall’individuo che supporta biologicamente, e durante questo periodo le libertà della donna non sono eccessivamente limitate. Ad ogni modo credo che se Gianni o la donna incita avessero deciso consapevolmente di supportare un altro individuo allora nessuno dei due dovrebbe aver il diritto di “tirarsi indietro” una volta che la scelta sia stata fatta.

    2. Credo che una “buona eutanasia” si possa verificare quando si fa morire una persona della quale è statisticamente praticamente certa una morte “prematura”, e che quindi attraverso questo atto si possano semplicemente accorciare le sofferenze e quindi rendere la morte più dignitosa possibile.

    3. Credo che l'”anima” di una persona sia rappresentata dalla memoria delle sue esperienze, infatti se a due persone venisse scambiata come per magia la memoria (e quindi anche la rete di sinapsi che ne caratterizza il pensiero), si potrebbe osservare come le due persone si comportino come si sarebbe comportata l’altra persona (persona intesa come un corpo con un “anima”) prima dello scambio di memorie, e che quindi sembrerebbe che le anime si siano scambiate. Con questa premessa volevo isolare il concetto di anima da quello del corpo e quindi anche evidenziare che il corpo è solo la maniera d’espressione dell’anima. Di conseguenza ciò che andrebbe tutelato è l’anima e non il corpo (considerandoli ancora separati). Vorrei quindi dire che, secondo me, finché un embrione non è dotato di un sistema nervoso capace di memorizzare ed interiorizzare esperienze e ricordi (e quindi anche capace di creare nuove sinapsi e circuiti neurali in riposta agli stimoli dell’ambiente circostante) allora è solo un corpo, ovvero un ammasso di cellule che prosegue la vita per inerzia come sarebbe una coltura di cellule in vitro. In conclusione finché l’embrione non è dotato di tale struttura neurale allora è possibile, secondo me, abortire in quanto ciò che si uccide è un corpo e non un persona.

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    1. Molto interessante l’argomentazione della terza analisi. Per quanto riguarda la seconda osservo che c’è qualcosa che non va (o sotto il profilo logico o sotto quello linguistico) nel supporre una cosa “statisticamente praticamente certa”. Se il fondamento di una credenza è statistico c’è ben poco da essere certi… Infine, nel primo caso l’ipotesi (forse implicita) è che il collegamento tra Gianni ed Enrico sia previsto per 9 mesi, dopodiché è… praticamente certo l’arrivo del midollo osseo. Questo cambia le cose?

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  3. 1) in questo caso il paragone non tiene molto. Perché Gianni è stato “rapito” e costretto a questa trasfusione; una gravidanza, per quanto indesiderata, potrebbe essere comunque evitata, a differenza di Gianni che non poteva evitare il suo “destino”. Per quanto riguarda la tesi, secondo me non si può costringere qualcuno a portare avanti una vita di cui non si sa nulla (in quanto sarebbe una chiara violazione della libertà), quindi sta all’etica di ognuno decidere se è meglio vivere con una vita sulla coscienza oppure no.
    2) Secondo me, l’unico modo per essere certi che non si creino situazioni come quelle descritte, è necessario che venga rispettata la volontà del paziente, dato che se fosse il medico a decidere la sorte del malato, anche qui ci sarebbe una violazione della libertà di scegliere. Certo, con un criterio così si possono creare i vari problemi legati alla possibilità che ha il paziente di esprimere un’opinione. In quel caso, pur imbattendosi comunque in una violazione della libertà, è giusto che siano i parenti più stretti a scegliere, in quanto possono meglio immedesimarsi nel paziente e scegliere come sceglierebbe lui; quindi è importante che scelgano come sceglierebbe il malato e non come sceglierebbero loro.
    3)

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  4. 1)Penso che l’argomentazione non sia del tutto confermata. E’ infatti un paragone che potrebbe tenere il confronto (come un uomo che è stato “attaccato” volontariamente ad un altro per trasferirgli sangue, altrimenti lui morirebbe, una madre è “attaccata a suo figlio), se non fosse per il fatto che nel caso dell’aborto, quando si può definire “vivo” un nuovo individuo/essere che sta crescendo nell’utero di una madre? Mentre nel caso di Gianni ed Enrico, il secondo è ancora vivo, ma se noi non fossimo stati “forzati” ad attaccarci a lui, lui sarebbe morto comunque, nel caso dell’aborto non sappiamo se ciò che è presente nell’utero è gia una “persona umana” oppure no. A questa risposta la scienza non ha ancora dato una definizione dettagliata; la Chiesa ha stabilito un “suo” limite tra vita e morte, ma si continuerebbe a trattatre di un “punto di vista” e non di effettiva “scienza”. A questa risposta perciò subentrano le leggi date dai valori morali che ognuno di noi ha. Questo esempio perciò, a mio parere, non regge il confronto.
    2)Come si può evincere dal ragionamento della premessa, la differenza tra “eutanasia buona” e “eutanasia cattiva” non sta nella passività o meno dell’azione, ma sta, almeno in questo caso, e in molti altri possibili, nei “secondi fini” o “scopi” per cui una persona pratica l’eutanasia. Nel caso 2bis infatti lo scopo principale era quello di ereditare tutti i beni della moglie, e non quello di alleviare i dolori di essa. Pure il fatto di lasciar morire una persona potrebbe essere visto come un “omicidio” poiché visto come un “disinteressamento” nei confronti della Vita di qualcuno, nonostante essa possa essere difficile. Quanto dobbiamo prendere in considerazione le parole perciò si un paziente che sta per morire? Per esperienza personale mi è sempre capitato di incontrare persone che alla fine della loro vita, hanno “aumentato” il loro attaccamento alla vita; come essere umani, infatti, a mio parere, se siamo mentalmente sani è impossibile voler “morire”. Anche sul punto di morte infatti, avremmo voglia di vivere e cercheremmo di non ucciderci, sia per il fatto che siamo essere umani, quindi attaccati alla vita, sia perché non sappiamo cosa ci sia dopo la morte.
    3)A mio parere, il fatto di stabilire come “inizio” della vita il momento in cui l’embrione sì divida in due, è abbastanza valido. Come argomento nella premessa infatti, non esistono persone che si possano dividere in due. Tuttavia questo punto di distinzione tra vitae non vita è anch’esso un punto scelto arbitrariamente e non “sicuro” al 100%. Dal momento in cui si uniscono i due zigoti infatti, potremmo dire che quella cellula è già un individuo unico e irripetibile che sta diventando vita. Ancora una volta perciò (come detto nel primo caso) la decisione sul “punto” in cui un essere è vivo/non vivo è data dai valori e dai principi morali e religiosi che ognuno di noi ha.

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